In Islanda

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Chi ci è già stato (pochi) mi ha detto di partire senza preconcetti, di lasciare a casa ogni aggettivo possibile per la parola vita. E ha aggiunto tre osservazioni: non ci sono alberi (zero), non devi sottovalutare mai la natura e le sue manifestazioni estreme (tipo il vento, o i ghiacciai, o i geyser), e preparati a una solitudine unica, diversa dalle infinite solitudini che conosci già. Chi non ci è stato ancora (moltissimi) mi sorride, mi dice: davvero vai in Islanda? A fare che? Non c’è nessuno lì, e poi sai che freddo! Alcuni mi dicono: che meraviglia, sarà bellissimo, è il viaggio che avrei voluto fare io, fai tante foto, oppure è lontanissimo, come mai proprio l’Islanda? Ci sono tanti bei posti più vicini e caldi, col mare, le palme e il sole cocente sotto cui arrostire.

Io vorrei rispondere ma poi sto zitto. Uso frasi di circostanza, tutt’al più. Vorrei dire che il freddo io lo amo come poche altre cose. Quando il vento taglia la faccia, asciuga i pensieri, e tempra. E che gli alberi, quelli sì, forse mi mancheranno, ma poi alla fine ci si fa l’abitudine. L’ombra non serve. E come riparo dal vento tremendo comunque non sarebbero abbastanza. Quindi via. Per quanto riguarda la solitudine non ho paura. Non ho più paura di stare solo da diverso tempo ormai. Non ho più paura di ascoltare quel che il silenzio di una solitudine vera può lasciarmi ascoltare. Poi agli altri, quelli che non ci sono stati ancora, invece rispondo appena. Magari cerco su google qualche bella cascata, qualche bel paesaggio, e parliamo di cosa vedere, di cosa mangiare, di come spostarsi. Non posso dire che per me stare su una spiaggia a farsi consumare dal sole non è riposare. Non posso dire che il fatto che lì non ci sia nessuno sia attraente, in quel gioco alle sottrazioni che spesso dimentichiamo, ma che è l’unica strada per giungere all’essenziale. Vorrei dirlo, ma taccio. Sorrido, talvolta dico: Sì, è un viaggio particolare, vedremo come va. Ma fondamentalmente questo immagino dell’Islanda. Se dovessero chiedermi di scegliere una sola parola, un aggettivo, per definirla, sceglierei senza ombra di dubbio ESSENZIALE. Poi al ritorno magari dirò ben altro.

Non so come mai si senta attrazione per qualche luogo e per altri no. In fondo, i luoghi sono come le persone, ci si innamora senza pensare, ci si attrae senza ragioni, ci si esplora senza confini. Non è questione di bellezza, di unicità o di lontananza. Credo si tratti piuttosto di richiamo. Una sorta di suono interiore, di voce, di dolce ed elegante malinconia per coordinate che non hai mai raggiunto prima ma che, in un certo senso, ti mancano. Ti respirano dentro senza averne motivo. È così che capita.

La mia idea di andare, non lo nascondo, ha qualche anno. Ma ogni anno avevo qualche motivo per rimandare. L’Islanda non è un paese che si raggiunge così, va prima pensato. Poi va digerito. Va contemplato. Aspettato. Non si improvvisa. Non è per un weekend, non è per una vacanza. Puoi andare solo in tre mesi l’anno, quelli estivi, e le possibilità di organizzare ovviamente si assottigliano. Inoltre si tratta di un posto strano, ricoperto da un’aura particolare, a metà tra l’esotico e il temibile. Chi va in Islanda, dicono, ci torna. E non solo perché è un paese molto bello e ricco di fascino introvabile altrove, ma perché, dicono, in Islanda perdi qualcosa. Lasci qualcosa. Qualcuno racconta che lì ci si accorga di come si può vivere. Di quante accezioni può avere la vita. Di quanti ritmi. Di quanti silenzi. Di quante solitudini. E chiamarsi comunque vita. E questo, in qualche modo, dopo un po’ manca. Dopo essere tornati alla folla di cose, pensieri, persone, situazioni nelle quali viviamo ogni giorno, quel silenzio manca, è terapia.

Del resto, in Islanda (in tutta l’Islanda) c’è lo stesso numero di persone che abitano in un quartiere della città in cui vivo, neppure uno dei più grandi. Lo stesso, o quasi, numero di persone che incontro ogni giorno per il lavoro che faccio. Lì sono “dispersi” in un territorio vasto e inospitale. Incontrare qualcuno fuori dalle città e dai villaggi sembra un’eccezione. L’uomo è un’eccezione del paesaggio e della natura. Bisogna indovinarlo. Bisogna stupirsi. E questo resta. Questo badare a se stessi senza contaminazioni, senza intralci, senza nessuno.

E poi sta lì, in mezzo a tutto. Non è America, ma nemmeno Europa. Sfiora il circolo polare artico, ma non è così fredda da essere disabitata. Sembra un ponte, un luogo dove rifornirsi per i lunghi viaggi, un crocevia. Chiunque, e non esagero a dire chiunque, mi propone qualcosa di diverso da vedere. Come se le cose da vedere, i must, fossero infiniti. O come se ognuno si fosse in qualche modo affezionato a uno di essi e ci tenesse a rivederlo coi miei occhi. A sentirselo raccontare da me. Chissà.

Per quanto mi riguarda mi sono avvicinato con cautela. L’ho fatto con le parole. Ho letto un diario di un viaggio in Islanda, bellissimo, commovente. Tre romanzi, due di autori locali, l’altro ambientato in un villaggio islandese. E ho assaggiato la guida della Lonely, a piccoli sorsi, come si fa coi whisky più pregiati.

Sono pronto. Pieno, ma non colmo.

Occhi accesi. Cuore a spugna. Mani aperte.

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Consigli di lettura:

“Tutta la solitudine che meritate – Viaggio in Islanda” di Claudio Giunta e Giovanna Silva
“Paradiso e inferno” di Jón Kalman Stefánsson
“Rosa Candida” di Audur Ava Ólafsdóttir
“Gente indipendente” di Halldór Laxness
“Islanda” (Edt, Lonely Planet)

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