Evoluzioni

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Volava, una volta, io l’ho visto. Stava su, mi guardava dall’alto, mi osservava. Piegava le ali quel tanto che bastava ad assecondare il vento. Talvolta si posava a terra, a pochi passi da me, e provavo imbarazzo a stargli così vicino, a condividere lo stesso pavimento, lo stesso piano di terra. Poi si voltava, mi dava le spalle, e con due colpi d’ala era già lassù, era già altrove.

Restavo immobile, accadeva sempre così, mentre guadagnava aria, mentre raggiungeva quell’azzurro così prossimo e così lontano, in un cielo sempre sereno. E ogni volta mi stupivo di uno stupore nuovo, esatto, primordiale. Quell’eleganza, quello stile, quella gioia di movimenti mi lasciavano senza parole. E accadevano. Ogni volta in modo diverso e al tempo stesso uguale alla volta prima. Si lasciava cullare dall’aria, traendo sostegno ed equilibrio dal vuoto. Questo mi affascinava, l’avrei guardato ore. Quello stare in equilibrio sul niente.

Poi non l’ho visto più. È successo all’improvviso. E sono passate settimane, mesi. Qualcuno mi diceva È morto, qualcuno mi diceva È emigrato, altri mi consigliarono di dimenticarlo. Ci fu qualcuno che disse persino Vallo a cercare. Ma come lo cerchi chi vola, se tu cammini soltanto? Dove soprattutto? Lui ha un concetto dello spazio tutto suo, senza riserve, senza zone franche o irraggiungibili. Chi vola, vive in un mondo molto diverso dal mio. Ha punti di appoggio e di fuga completamente diversi, trampolini, trespoli, correnti d’aria come autostrade. Così ho atteso. Con tutta la speranza possibile. Con tutto quello che sapevo provare in quel momento. Ogni volta che vedevo qualcosa svolazzare correvo alla finestra, uscivo sul balcone, lo cercavo con lo sguardo. E magari era solo una foglia secca, o un giornale, o qualche altra cosa che sapeva volare a stento, non lui.

Ho temuto a lungo che fosse morto. Che mi avesse lasciato. Che avesse scelto qualche altro cielo. Succede così. La capacità di amare non si improvvisa. Si allena. Si costruisce. Si coltiva. Poi a un certo punto non la senti più. E ti sembra di non aver mai amato, mai davvero, di essere stato sott’acqua, sempre, con i sensi attutiti, a velocità ridotta, senza alcun tipo di stimolo reale.

Non è stato facile. Quando sei lì sotto non è che pensi a quando uscirai. Pensi al se. Pensi all’ipotesi brutta, pensi anche al dover rimanere lì per sempre. Non ci sono garanzie. Mi fa ridere chi dice che siamo fatti per amare, e poi magari non riesce ad avere una relazione sana che è una. O confonde l’amore con tante altre cose. Io sono d’accordo, assolutamente. Siamo fatti per amare, ma quando non vola più, lo dimentichiamo. Lo temiamo morto. Restiamo alla finestra, una finestra senza vetri, senza infissi, senza finestra. E l’unico pensiero reale, concreto, sanguigno, è quello che ci fa tenere gli occhi e il petto aperti. Un’attesa che vale più di una vita.

Dentro esplodiamo, e fuori spesso non si vede nulla. Abbiamo la pelle che è gabbia nucleare, e al tempo stesso recinto per i cavalli. Lo sappiamo che l’amore è nelle nostre corde. Volava. Eppure dov’è? Dov’è finito?

Stamattina c’è il sole, ma nemmeno troppo. Un sole di quelli limpidi, lucidi, dopo i temporali. E l’ho rivisto. Era lì fuori. Era dov’era sempre stato. Ed era lui, ne ero certo, sebbene volasse in maniera molto diversa da come lo ricordavo. Non so spiegarvi. Non ho saputo spiegarlo nemmeno a me stesso. Ma era lui. Se ne stava nello stesso cielo, ma con consapevolezze diverse. Non volava soltanto, esplorava, si divertiva, roteava intorno a se stesso, correva, frenava, scendeva in picchiata e poi tornava su. Senza paura, senza incertezza.

Ecco dov’era. E io che lo pensavo morto. Eccolo. Si era rifugiato dove il dolore non faceva così male, in quelle zone franche dove non conta chi vola, chi cammina o chi striscia, conta solo inanellare i respiri, uno dietro l’altro, continuare a esistere nell’attesa di vivere di nuovo. Si stava preservando, ristrutturando, prendendo cura di sé. Il cielo lo attendeva.

Anch’io.

Ora, vederlo volare così, come non ha mai volato prima, mi commuove. La capacità di amare non muore. Si appanna, si disorienta. Ma rimane. Sotto c’è. Questo è meraviglioso.

Non è speciale chi vola soltanto, quello, in un certo personalissimo senso, lo fanno tutti. Il punto è capire di saperlo fare e non limitarsi a quello. Non lasciarsi trasportare dal vento, non adagiarsi, ma cimentarsi in continue e nuove evoluzioni.

Passa da queste evoluzioni, talvolta rischiosissime, l’evoluzione vera di una persona.

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