
Giochiamo sul letto,
è passata un’ora.
Tu salti,
rimbalzi sui cuscini,
mi afferri, ti tiri su,
sbuffi, ti sbellichi dal ridere
poi cerchi il contatto,
mi graffi, senza volerlo,
non te ne accorgi.
Capita così:
chi ci fa male,
talvolta è inconsapevole,
pensa di giocare.
Prendi lo slancio,
ti tuffi a braccia aperte
e riparti, affannata, non doma.
Io, complice di questo parco,
fatico a sollevarti
ogni volta che ti sollevo,
ma ti sollevo.
Fatico a darti appoggio,
a far da leva,
ma gioco al gioco
meglio che posso, più che posso.
Capita così:
di chi ci supporta,
e gioca con noi, e sa giocare,
talvolta non ci accorgiamo neppure.
Rischi più volte di cadere,
di battere la testa allo schienale,
ma placo ogni volta quell’impatto
Frenando con violenza quel dolore.
E quando ti butti all’indietro
Evito che il collo diventi frusta
Addolcendo quel rimbalzo innaturale.
Capita così, ma lo sapete:
Confondiamo col gioco
Le profonde tutele
Di chi in silenzio
ci salva dal dolore.
Succede adesso.
Mentre cavalchi il mio stomaco
Mi sorprendo nello specchio
Padre
Per la prima volta
Non in una foto
Non in un video
Mentre lo sono
Mentre lo faccio
Mentre accade.
La mia smorfia di finto dolore.
L’urlo, l’imprecazione dolce.
Le tue risa.
Resto a guardarmi.
Ma finché guardo, non mi muovo.
“Papà, vieni? Giochiamo?”
Capita così:
Non sappiamo chi siamo
Finché per qualche ragione
non lo diventiamo.
Così penso ai padri,
a tutti, al mio,
che oggi son quasi vent’anni
che non c’è più,
e a quante volte, come me,
si sarà sentito così:
padre all’improvviso.
E mi chiedo tante cose,
tipo perché non è qui,
tipo se anche lui a volte
si sentiva un po’ disperso.
Ma adesso non c’è tempo:
hai preparato un trono,
il trono coi cuscini,
mi reclami,
e sei una principessa.