Alla deriva

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– Non arrovellarti in mille pensieri, è peggio.
– E che dovrei fare secondo te?
– Prega.
– Prego?
– Prega. Prenditi la preghiera di Santa Brigida. Trovala, su internet…
– Non ci riesco a pregare, lo sai.
– Tu prega.
– E perché quella di Santa Brigida, poi? Che preghiera è?
– Aiuta i rapporti finiti. Li fa riavvicinare. Li ricuce. Li risana.
– E chi lo dice che un rapporto finito si debba “riavvicinare”?
– Beh, non è questo che vuoi?
– Non credo.
– Ma se tre giorni fa eri disperato!
– Hai ragione. Ma sto pensando a tante cose.
– Tipo?
– Diversità, disallineamenti, e soprattutto frequenze. Le frequenze in cui mi esprimevo.
– Ah.
– Frequenze diverse, non mie. Che accettavo per poter comunicare. Ma non ero io, capisci?
– Capisco, certo. Ma chi eri allora?
– Non lo so. Non io. Sicuro. Stavo male. Viaggiavo a frequenze diverse, ma mi sforzavo di capire, ascoltare. Uno sforzo immane. Certo, provavo qualcosa. Amore? Può darsi. Anche se l’Amore non è gestirsi, né controllarsi, né appartenersi. E nemmeno limitarsi. L’Amore è tenersi addosso.
– E voi non vi tenevate più?
– No.
– E perché?
– Perché succede così.
– Cosa? Che succede?
– Succede che ti vedi allo specchio e negli occhi degli altri, e ti senti migliore. Sereno. Certo, qualcosa mi manca, ma non credo sia ingestibile. E non voglio stare con chi mi tratta così. È così semplice, alla fine, stare in pace.
– Lo capisco. Ma tu provi qualcosa per lei.
– Lo provo per qualcuno che ho dipinto con la sua faccia.
– Quindi non sei più in attesa che torni? Non è più questo quello che vuoi?
– Non deve tornare solo lei, devo tornare soprattutto io. E questo mi pare molto difficile e improbabile.
– Addirittura?
– Sì. Addirittura. Perché quando lasci qualcosa, qualcuno, alla deriva, come ha fatto lei, non è scontato che resti a portata di braccia se avessi intenzione di riprenderlo. La deriva porta ovunque, non si prevede e non si comanda. Quando uno ti molla, dovrebbe saperlo. Puoi essere a tre metri o dall’altra parte dell’oceano.
– Magari lei lo sa. E non gliene importa nulla.
– Sicuramente. Ma magari non è così, o non del tutto. L’orgoglio affoga le parole.
– E se non c’entrasse l’orgoglio?
– Se non c’entrasse l’orgoglio sarebbe peggio.
– Perché?
– Perché vorrebbe dire che non avverte nemmeno il disagio di non essersi scusata. Non avverte nemmeno il dolore di non essersi messa mai veramente in gioco. Preferirei che fosse soltanto orgoglio.
– Già, forse hai ragione.
– Chi non si sente davvero perfetto non agisce come se lo fosse. Si rischia troppo. Se sai di poter sbagliare anche tu, non inchiodi alla croce chi sbaglia. Non hai questa sicurezza, quasi salomonica, questa cattiveria ostentata, questo modo crudo e senza cuscinetti, senza tutele. Io penso di aver commesso tanti errori, ma non ho mai trattato nessuno così. E ne vado fiero. Ho sempre creduto alla proprietà salvifica delle parole, che conducono a cambiamenti reali.
– Sì, ma tu, come stai? Ti senti alla deriva?
– Mi ci sono sentito a lungo. Non voglio fare l’eroe, perché non lo sono. Sono stato male. Sono stato proprio male.
– E poi?
– Poi mi sono accorto che avevo due braccia e due gambe, e l’avevo dimenticato. Braccia e gambe mie! E che alla deriva potevo oppormi con una nuotata, con un movimento, con stile. E così è successo. Sto nuotando. Non so ancora come, ma sto nuotando. Non galleggio solamente.
Mi sorride. La metafora è piaciuta. Mi saluta affettuosamente. È tardi e deve andare. Poi si volta, all’improvviso, come se avesse dimenticato il portafogli.
– Prega.

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