Questo accenno di racconto nasce da una storia che mi ha raccontato un collega un anno fa, disinvoltamente, come se il contenuto fosse consueto. Ho preso degli appunti, e gli appunti hanno questa facoltà di tornare vivi e attuali quando cerchi un seme. Questa è la prima di tre parti. Le altre due sono ancora da scrivere.
1/3
Adamo è immobile in piedi sulla balaustra di un palazzo. Al settimo piano. Ha le mani lungo i fianchi, gli occhi che guardano lontano. È scalzo e le dita dei piedi afferrano il cornicione. Sta qui da quasi tre ore.
All’inizio non l’aveva notato nessuno, e a lui era sembrata buffo. Nemmeno lì, in quella situazione assurda.
Poi qualcuno ha chiamato i pompieri. Sono giunti a sirene spiegate e hanno sistemato il tappeto proprio sotto di lui. Lui ogni tanto urla mi butto tra…, e dice una cifra in minuti. Tipo 164, o 73, o 29. Poi si muove un poco di lato, e si risistema nella stessa identica posizione in cui è adesso. Venticinque metri sotto il tappeto lo segue come un cane che aspetta un boccone.
Poco fa ha urlato: è quasi ora. Il tenente dei Carabinieri ha seguito la questione sin dall’inizio e lo ha invitato più volte a ravvedersi e rientrare in casa. Ora scopre il polso, guarda l’ora, e sussurra a qualcuno con la divisa da pompiere: Tre minuti, per l’esattezza. Tre minuti. Teniamoci pronti.
La piazzola è piena di gente. La strada è stata chiusa al traffico e una folla di curiosi, vicini di casa e passanti si è addensata appena dietro i nastri fluorescenti dei carabinieri. Sembra l’uscita di un reality.
Sono tutti col naso all’insù. Qualcuno lo indica. Qualcuno parla di quanto fosse un uomo normale, senza alcun sintomo di squilibrio, senza alcuna tendenza strana.
Un uomo, che forse lo conosce meglio di altri, comincia a tirare fuori una vecchia storia, una di quelle storie lacrimose, di un amore impossibile, infranto, nato con semplicità e rimosso come tumore. Un amore ucciso da un provvedimento ingiusto e frettoloso.
Mentre qualcuno inizia a interessarsi a questa notizia, e a chiedere altri dettagli, da dietro l’angolo spunta una macchina argento, lucida. Gli agenti la fanno passare. Il Tenente dice Finalmente, e lo dice con un sospiro più rumoroso delle parole. Scende una donna sulla cinquantina, riccioluta, coi capelli color rame. Lui si avvicina, non la saluta, non le stringe la mano, non la chiama per nome. Dice solo Ha meno di due minuti.
Lei si riavvia i capelli con la mano destra, con la sinistra trova un pacchetto di caramelle in tasca. Prima di metterne una in bocca sussurra Bastano.
Adamo ha osservato la scena da lassù, e segue la donna avvicinarsi al palazzo. Sono attimi. La riconosce. Si agita. Diventa irrequieto. Doveva aspettarsela questa mossa. E forse se l’aspettava. Sorride, ma è un sorriso vuoto.
Quando lei entra nel portone lui si sente invaso, conquistato, perduto. La sente salirgli dentro, indomabile come certi rigurgiti.
Come può spiegare alla più brava psichiatra che conosce che si tratta di una sciocca messinscena? Come può convincere quella professionista integerrima, e la madre con cui non parla da anni, che lui vuole solo quello che gli spetta? Che lui vuole solo Monica, e che Monica è sua, e che Monica non è affatto pazza ma è soltanto sola e perfetta?
…