Devi andare. E andrai.
L’ultima cosa che sparisce di te è il profumo che lasci sulle cose, quell’odore indefinibile che definisce esattamente dove è stato possibile incontrarti. Ma l’inevitabile non placa la nostalgia, né la paura di pensare a un futuro che smette di assomigliare a quel che siamo stati, insieme, in questa manciata d’anni che chiamiamo vita.
“Sentiamoci”, mi dici. Come se fosse possibile non farlo. Come se far parte della vita di qualcuno fosse un morbo, curabile con un medicinale. Invece no, è fonte.
A me non sembra importante il fatto che te ne vada. Succede. Succede ogni attimo di perdersi. Ma voglio la voce. Almeno quella. Voglio quelle tonalità che pitturano la mia vita dei colori che sai tu.
Non riesco a pensare a qualcosa di mio che non ti appartenga. Esiste? Non riesco a pensare a me senza te che dici stupidaggini e ci riempi lo spazio come il polistirolo negli scatoloni. Attutisci gli urti, li scomponi. Rendi pieno lo spazio pericoloso.
Così, quel che riesco a risponderti, è solo “Presto”. Facciamo che sia presto.
E quest’avverbio significa più di quanto pensassi, più di quanto volevo significasse. Comprendo così, con una parola, quanto il tempo abbia facoltà di rendere più dolce lo spazio. Sapere di sentirti, e sentirti presto, mi acquieta. Rende meno lontano quel lontano viscerale dove andrai a finire. L’attesa si muove, cammina verso di te, e assottiglia ciò che ci separa. Ecco tutto.
Mi sorridi, di un sorriso che mi accarezza il viso.
Poi voli via.