Dicono tutti che il tempo passa, e porti via tutto quanto. Le cose belle, le cose brutte.
Passerà, quindi. Passa tutto.
E questo calcolato stupore, questa fervida malinconia, questo colore che non so dire, questo sbigottimento, lasceranno il posto a qualcos’altro. Non so cosa. So che è giusto che non lo sappia, ma la cosa mi sconcerta, mi atterrisce. Come a dire: non basta? Come a dire: Ancora?
Ma passerà, mi dicono, mi dici, sussurra la gente al mercato in quest’aria natalizia artificiale. Passerà, sospira la nonna che non ha avuto abbastanza pensione per fare i soliti, piccoli, regali ai nipotini. Passerà, e due mani si stringono, al capezzale di un letto bianco, e celeste, e un uomo annuisce perché non riesce più a parlare. Passerà, pensa il bambino a Gaza, o in Ucraina, o in Siria, il bambino che sogna e non dorme, o dorme e non sogna. Passerà, e una donna si siede a terra, tira fuori dalla tasca un bicchiere di McDonald’s e lo tiene in grembo, come suo figlio, neonato, sperando di riempirlo a sufficienza per la cena, che domani è un giorno nuovo, e anche stasera passerà. Passerà, urla un amico all’altro che piange, per una donna che se n’è andata in un minuto dopo anni, senza nemmeno salutare, senza nemmeno ringraziare. Passerà, passerà lo giuro, dice l’imprenditore costretto a licenziare i suoi dipendenti perché non fa più impresa. Passerà, e diventerà passato. Lo sanno tutti, anche gli scemi. A chiunque chiedessi, per strada, sulla metropolitana, a teatro o sotto un ponte, a chiunque chiedessi: passerà? Lui, o lei, risponderebbe: certo, che domande, passa tutto no?
Passerà. Se lo dicono, passerà. Che cosa lo direbbero a fare tutti quanti, se non fosse così? E allora non resta che aspettare nella convinzione di essere su un treno sbagliato, succede. Poi si arriva, si scende, si torna. E quel che resta è solo una distrazione da raccontare. Dobbiamo aspettare che passi, ma passerà. Tutti convinti?
Passeranno gli errori, e le minestre fredde, i calzini bucati, il dolore non condiviso. E passeranno persino i libri letti senza fiato, le fotografie rimaste nelle memorie delle nostre fotocamere smarrite, i cieli nuvolosi le giornate di nebbia. Passeranno le navi affondate per errore, le bombe sganciate per ripicca, i kamikaze che cancellano generazioni, e gli aeroplani che spariscono. Passeranno persino le vittorie, non solo le sconfitte. E le promesse e le bugie. Passeranno i cuori infranti (sì, hanno questa capacità di riassemblarsi e tornare a battere) e le onde irrequiete, l’erba morta del prato sotto casa mia, il passerotto che adesso balla sul mio davanzale ghiacciato. Passa tutto, e passerà anche questo tempo così poco validante. Quest’epoca in cui ci si smarrisce credendosi padroni di se stessi, in cui siamo tutti punti di incidenza di una rete spersonalizzante che ci dà la crudele sensazione di essere il centro.
Così passerà, mi ripeto. E la frase mi provoca un effetto che non so. Che mi è nuovo. Un effetto che è quasi rabbia, o forse speranza, o magari rassegnazione. Passerà cosa? E come? E in cambio di cosa? Forse compio l’errore che faccio sempre. Penso al dopo, e mi perdo l’adesso. Ma mi sta accadendo una cosa strana, e voglio dirla. A me non interessa quel che dicono tutti. Non mi interessa più che passi, che passi soltanto. Voglio che duri.
Voglio che qualcosa di diverso da questo duri, duri sempre.
Per ora mi accontento che sia passato quest’anno qui. Abbiamo bisogno di movimento.
E attendo che arrivi il prossimo, e passi a sua volta. E magari cambi le cose, persino questo anonimo modo che hanno di passare.