Oggi la tua assenza diventa maggiorenne.
Adulta. Matura.
Avrei dovuto, nel frattempo,
imparare a maneggiarla
quando prende fuoco.
Avrei dovuto, in questi anni,
diventare abile
a renderla innocua.
Invece no.
Invece sei qui.
Ricordo bene chi ripeteva,
In quei giorni lì,
come una filastrocca,
di andare avanti,
il tempo leviga ogni sporgenza,
l’abitudine scioglie ogni nodo.
Andare avanti come sinonimo di vivere.
Suona male solo a me?
Fa ribrezzo solo a me?
Sono bugie, quelle lì,
bugie che si dicono, e pace.
Il problema è che ci caschi.
Il problema è che aspetti
tutti i giorni il giorno
In cui apri gli occhi e non ci pensi più.
Tutti i giorni il giorno
in cui accetti che tra tutto il resto
accadano anche cose così.
Senza ritorno, selvatiche, immutabili.
Avrei dovuto disinnescare
Questa malinconia che non è malinconia
– perché a stento ricordo cosa eravamo.
Invece devo fermarmi, fare silenzio, concentrarmi
Come se i nostri ricordi andassero spolverati
Prima di essere ricordati.
Come se la vita con te, fosse una vita altra.
E non mi appartenesse, non davvero.
Non fosse passata, ma alternativa.
Alcuni dicono di esserci riusciti.
Non ci penso più.
Sono in un’altra fase.
Ormai ho la mia famiglia.
Sono diventato uomo, sono cresciuto.
E io mi chiedo come si fa.
E dove va a finire tutto quanto.
Compresa questa disumana voglia
Di averti qui, il tempo di un caffè,
di una carezza, di uno sbuffo sul cappello.
Oggi la tua assenza è maggiorenne.
Quando è iniziata, avevo poca barba,
capelli scuri e mi chiedevo ogni giorno:
come si fa a ricordare qualcuno?
Nei deliri, nelle rincorse, negli inciampi della vita,
come si fa a non lasciarlo sfilare via?
Uno dice: non ti dimenticherò mai.
Però poi la memoria è bastarda,
è multistrato, sotterra, sovrascrive,
colleziona civiltà sommerse.
Oggi mi rado tutti i giorni,
ho i capelli quasi tutti bianchi
e una risposta semplice:
non posso dimenticarti, neanche volendo,
perché sei negli occhi scuri
vigili
incolti
maleducati
di mia figlia.