Te ne ho viste fare di cose, papà. Sembrano pochi vent’anni insieme, e invece no. Non lo sono. Certo, volano via, ma pochi non sono affatto. E te di cose ne hai fatte eccome, di tutti i tipi, di tutte le gravità, di tutte le fatture. Come tutti.
Eppure ora, qui, su questo divano domenicale che vuole dire famiglia, che vuol dire presente, quel che mi viene naturale è pensare con affanno a quel che invece non ti ho visto fare mai.
L’inevitabile vince sulla bellezza dei ricordi.
Non ti ho mai visto prendere un autobus, ad esempio, o mangiare il cous cous, o portare una moto. Non ti ho mai visto rincorrere qualcuno, essere violento con un cane, bere grappa. Non ti ho mai visto giocare a tennis, cantare Guccini, leggere un romanzo russo. Non ti ho mai visto parcheggiare, all’improvviso, per fare una foto a un panorama. Non ti ho mai visto scrivere una storia, non ti ho mai sentito dire “leggi questo, che ne pensi?”. Non ti ho mai visto più a nord di John O’Groats e più a sud di Salerno. Non ti ho mai visto più a est di Budapest, più a ovest dell’Isola di Skye. Sei esistito in questo spazio.
Non ti ho mai visto in un pub, in un ristorante cinese, in un negozio di animali. Non ti ho mai visto utilizzare euro, al posto delle lire. Non ti ho mai visto prendere un ginseng, o un orzo, o un mokaccino. Non ho mai visto la tua faccia di fronte a me che indosso una divisa come la tua. Non abbiamo mai lavorato insieme, non abbiamo mai fatto un viaggio tu ed io da soli. Non abbiamo mai parlato di come saresti stato da nonno, con quei baffi che mettevano paura ai bambini, o se avresti preferito un maschietto o una femminuccia.
Non ti ho mai visto tuffarti da un trampolino, arrampicarti su una parete rocciosa, smontare il motore di una macchina, passeggiare su un lungolago di mattina presto, fare colazione con pane di segale, miele bio, marmellata senza zuccheri aggiunti.
Non ti ho mai visto fare la fila alla posta, mandare una mail, navigare su internet dal cellulare. Non ti ho mai visto mangiare tofu, soia, seitan. Non hai mai detto “pistacchio” in una gelateria. Non hai mai detto “ortolana” in una pizzeria. Non hai mai detto “macchiato caldo in tazza grande”. Non hai mai aspettato che facesse caldo per vestirti estivo, non hai mai detto “che freddo, chiudi”, non hai mai guidato una macchina coi finestrini sigillati, sempre una spiraglio, sempre due dita d’aria.
Non ti ho mai visto in un letto d’ospedale. Prima dell’ultima volta, è ovvio, prima di quando poi hai trovato la tua pace. Non ti ho mai sentito dire “che sfortuna”, o “come farete senza di me”, o “sarà durissima”. Non ti ho mai visto fare un puzzle, disegnare, piangere per un film.
Non sei mai potuto venire a una mia presentazione. Ho cominciato a scrivere dopo di te. Forse a compensazione, forse a rivalsa. E non hai mai indossato un parka, un pantalone alla zuava, o coi risvoltini. Non hai conosciuto i social network, non hai conosciuti i reality show, non hai conosciuto lo streaming tv.
Non ti ho mai visto sciare. Non ti ho mai visto correre una maratona. Non hai mai fatto un brunch, o un’apericena. Non hai fatto una riunione di condominio, un focus meeting, una crociera.
E quel che mi resta addosso è soprattutto questo: quel che mai ti ho visto fare. Perché non ho nemmeno la consolazione di un ricordo vago.
Il futuro mancato, quando smette di essere possibile, prende le sembianze di un passato inesistente. Mi sta accadendo questo. Penso a ciò che non ti ho visto fare, che non ti vedrò fare mai più.
Non ti vedrò prendere in braccio mia figlia, farla sorridere, insegnarle la compassione, accarezzarle le guance, indicarle qualche scorciatoia. Non ti vedrò nonno passeggiare con lei, portarla al parco, dirle “sei l’amore mio, niente fidanzatino eh, nonno è geloso”. Non ti vedrò invecchiare con me, con le mie insicurezze, con la mia eterna insana e sana voglia di consolazione, con la mia inappagatezza, con la mia inquietudine.
E nell’infinità di momenti che un padre trascorre con un figlio quanto è giusto provare sofferenza per quel che non si riesce a vivere insieme? Non lo so ma la provo, limpida. Sono come uno scarto minimo, un appuntamento mancato di un niente, questa figlia e questa tua morte prematura. Sebbene in mezzo ci siano più di quindici anni di vita.
Sembrano un tram perso per un niente, sembrano un ponte che ci crolla a un passo.
Poi guardo gli occhi di mia figlia, dentro, dietro, e ci vedo te.
Capisco. E passa tutto.