Io non lo so come funziona. Non c’è nessuno che me lo abbia insegnato, non c’è nessuno che può insegnarlo. Sono quelle cose che uno deve vivere, non può certo apprenderle da un libro, da un amico che ha passato lo stesso trascorso, da un racconto. Ti capitano, ed è sempre la prima volta, ogni volta la prima volta.
Sono quelle cose che ti afferrano il cuore, te lo centrifugano, te lo strizzano, te lo asciugano. Sono quelle cose che hanno il sapore degli addii, anche se tu di addii non ne hai mai colto il senso, forse perché non ne hai mai davvero vissuto le conseguenze. Sono quelle cose che disegnano a terra una linea rossa, e tutto ciò che viene prima di quella linea non è più quel che verrà dopo. Qualcosa che segna il tempo, gli dà nome.
Si muore, certo. E muoiono oggetti, situazioni, relazioni, amicizie, e noi. Si muore. E nessuno può impedirlo, né forse vuole. Nessuno ha la pretesa di non essere incluso in questa dinamica. O può permettersi il lusso di non subire quest’ultima trasformazione. Nessuno. Il punto infatti non è questo.
Quel che mi interessa è definire quando basta. Quando è il caso di alzarsi dal tavolo, e salutare, e dirsi: ok, non è più il caso di continuare (perché, in ogni caso, continuare sarebbe peggio che rinunciare). E farlo con un senso profondo di pace e di gioia, per una strada nuova che ci aspetta e che conterrà altro, qualcosa di nuovo, un futuro dolce, magari, una favola. Quel che mi interessa è capire le variabili da cui è possibile dire, con esattezza, a qualcuno, a qualcosa, sei morto, non ci sei più! E non in senso spregiativo, ma utile a comprendere. Dovrei essere un medico, ma non lo sono. E allora? Come se ne esce? Io non credo alle cose troppo semplici. Tipo il cuore non batte quindi sei morto. Per me esistono altri livelli. Ci sono persone che non muoiono quando il loro cuore si ferma, e altre che muoiono molto prima che smetta di battere. Ci sono dettagli. Piccoli frammenti della vita che dimentichiamo troppo spesso, e che si rivelano fondamentali nel comprendere quando basta.
Quando è che basta? Quando un amore toglie molto più di ciò che dà? Quando un’amicizia profonda la sorprendiamo avere un verso unico? Quando le parole che ascoltiamo fanno solo male?
Quando basta?
Io non lo so. Non ho l’abitudine a lasciare campi di battaglia, o persone, o discorsi a metà. Credo alla soluzione delle cose fino allo sfinimento, perché credo nelle persone e nel lavoro che fanno con loro stesse per essere migliori, reali, vere. Non ho l’abitudine a sentire nostalgia. Non mi piace e forse non serve nemmeno. Ma il dolore lo sento. Dritto, affilato, acuminato. Ed è il dolore per qualcosa che è stato ucciso. E che rantola. Che avrebbe potuto sopravvivere, che avrebbe magari potuto persino rinsavire. Talvolta basta l’umiltà di un ce la faremo, la gioia di un sei all’altezza di tutto e vincerai, la schiettezza di un credo in te.
L’amore guarisce, l’ho imparato sulla mia pelle. Ed è la verità più bella che ho imparato in questa vita.
Si dice che ognuno di noi abbia un destino, un disegno, un karma, un progetto che Dio ha previsto per noi. Sarà così. Ma in questa predeterminazione, ogni scuola di pensiero lascia spiragli al libero arbitrio, a ciò che vogliamo noi per noi stessi, a ciò per cui lottiamo e a cui dedichiamo la nostra esistenza. Quindi è davvero sciocco dire Non posso più, Non è il caso, Non credo sia buono. In fondo sono tutte forme edulcorate di un Non voglio, molto più crudo, ma molto più vero. Che si assume le responsabilità e le conseguenze di ciò che comporta.
Io non lo so come funziona. So che fa male. Ecco, questo lo so. So che fa davvero male. Toglie il respiro, ciancica il petto, calpesta gli occhi.
Ma adesso, ora, so che l’Amore guarisce, deterge, cura. Ed è tutto colorato.