Quello che diventiamo

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Esiste un istante, per tutti, un momento puntuale, quasi perfetto, nel quale accade qualcosa che non è mai accaduto prima. Si avverte l’esatta percezione di essere cambiati. Sembra ovvio, banale. Non lo è.

Non che fino a quel momento uno rimanga lo stesso, o magari non abbia avuto i suoi personalissimi cataclismi. E nemmeno che abbia saputo gestire così bene le altalene da confonderle con pianure sempreverdi e fiorite. No. Cambiamo, cambiamo tutti, sempre, continuamente. Retorico eh? Già, forse. Il concetto del cambiamento ha preso così tanto piede che oggi è dato per assodato, come la profondità del mare, l’azzurro del cielo, l’umidità dopo la pioggia. Il “tutto si trasforma” è un cardine della conoscenza di chiunque. Darwin gongola. Einstein pure.

E noi cambiamo anche mentre pensiamo di cambiare, sfuggiamo a noi stessi, alle percezioni che abbiamo del nostro corpo, delle nostre idee, del nostro viverci. Siamo più veloci della vita, continuamente alla rincorsa di punti fermi, ancore, approdi, fondamenta. Siamo convinti che bastino, che siano sufficienti per restare. Ci sentiamo navi alla deriva, aquiloni, case prefabbricate. Dateci qualcosa a cui aggrapparci, e lo faremo. E finalmente saremo affidabili, sereni, equilibrati, stabili. Questo crediamo. Che dipenda dagli appigli, dai cardini, dai punti di attrito. Ne siamo convinti al punto di sentirci talvolta immutabili.

Invece no, dipende da noi. Che mutiamo a prescindere dai luoghi, dalle persone, dai pesi che teniamo addosso per restare fermi. Mutiamo sottopelle, dove non si può arginare. Mutiamo nelle cellule delle vene. Mutiamo nei riflessi delle pupille, nei colori dei vasi sanguigni, nelle rughe delle mani, nelle nostre più riservate intimità. Quel che accade, però, è che non ne siamo perfettamente consapevoli.

Sì, ok, è vera ‘sta cosa del cambiamento continuo, ma io sono lo stesso di sempre. Sono sempre io. Eccomi qua, non mi vedi?

Ci piace sentirci ciò che siamo convinti di essere. Ci dà sicurezza. Piglio. Definizione. Vogliamo risultare proprio quelle persone lì e non altre. Trascuriamo il magma che ci sottende, mostriamo la lava secca, incrostata, di chissà quanti millenni fa, di chissà quali eruzioni, perché è solida, delineata, nostra. Come se il movimento perenne fosse troppo lento e troppo rivolto ai dettagli per essere colto ad occhio nudo. Cambiamo, sì, ma mai in modo così significativo da concedere a quel cambiamento la nostra attenzione, la nostra preoccupazione.

Poi un giorno inciampiamo in uno specchio, o in una persona, o in un dolore – in una di quelle cose che sa restituirci indietro la nostra vera immagine, insomma, – e tutto torna. Ci sorprendiamo cambiati, stravolti. Quando è capitato tutto quel che è capitato? E cosa mai è capitato per ridurci così?

Ecco, a me è successo in questi giorni. Ho scoperto improvvisamente di non essere più ragazzo. Dai capelli bianchi, da qualche stanchezza, da qualche desiderio immenso che non avevo mai avuto prima, da qualche delusione cocente, da qualche progetto che resta sul trampolino e stenta a volare. Dai residui, insomma.

È strano, è qualcosa che morde dentro ma lascia intatti. Si è quelli di prima in un modo completamente diverso da prima. Più risoluto, forse. Capita così, e il momento in cui afferriamo questo cambiamento e lo cogliamo nella sua totalità è sempre un momento strategico di folle intensità.

Mi sono sorpreso uomo e, perdonatemi, io non lo so quand’è successo.

Sarebbe bello poter decidere noi quando smettere di avere vent’anni. Invece siamo così fluidi da non sapere nemmeno dove siamo, dove andiamo e perché, e cosa sta cambiando mentre decidiamo dove andare. Dovremmo lasciar perdere ancore, fondamenta, appigli, tutto ciò che non ci riguarda davvero e che ci tiene sotto scacco la vita troppo a lungo. Accettare la nostra indole e la nostra essenza da subito, da piccini. Amarle. Amarle davvero. Come si ama qualcuno la cui assenza toglie il respiro. Perché ci consente di essere noi stessi, indipendentemente da quello che diventiamo.

Siamo vento, siamo acqua, siamo tutto ciò che passa in un baleno e non lascia traccia. Ma, mentre passiamo, siamo noi la storia che viene raccontata, siamo noi la vita.

Che meraviglia. Che infame, fottuta, crudele, incantata meraviglia.

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