Rivisto

trenosuponte

Sono in bagno. Seduto. All’interno dell’azione più umana e comune e banale che c’è.

Prendo una rivista, appoggiata sul mobile basso davanti a me. Comincio a sfogliarla con distrazione, senza dare peso alle parole, alle immagini, ai disegni. Lascio soltanto che quel gesto mi distolga da pensieri più pesanti, che non galleggiano, che vanno a fondo, dentro, e tirano giù pure me.

Noto che gli articoli raccontano cose vecchie. Non è di certo una pubblicazione recente. Arrivo ad un articolo sciocco, uno di quelli che le redazioni infilano in un magazine per vendere qualche copia in più. Parla di un calciatore famoso che è nel pieno della riabilitazione dopo un grave infortunio. Rimango immobile su questa pagina. Mi sorprende un ricordo, mi arriva addosso come un treno in corsa, mi travolge.

C’eri tu, qui seduto, dodici anni fa. E sfogliavi questa stessa, identica rivista. Guardo la data. Luglio 2012. E capisco di avere ragione. Ricordo che mi parlasti di questo articolo sciocco, tanto per dire. Adesso lo ricordo. Si parlava di calcio per non parlare d’altro, per riempire i silenzi che levigano la vita più del vento, più dell’acqua, più del tempo. E sorridevi, ricordo tutto quanto, i dettagli, ma non ricordo come facevi a sorridere.

Cercavi argomenti, io li sostenevo. Dicevi: per me non tornerà mai quello di prima, si è rotto un ginocchio mica niente. E io annuivo. Avevi ragione. E forse non si torna mai quelli di prima. Non solo quando ci infortuniamo, non solo quando ci perdiamo. Forse non siamo proprio fatti per essere quelli di prima. Siamo bobine di film che vanno sempre avanti, incapaci di riavvolgerci, di riviverci, di ravvederci. Siamo sempre e solo futuro.

Fa paura tutto questo. La potenza salvifica delle parole sciocche, l’estrema debolezza della vita, il dolore permeante della verità. E un mucchio di fogli qualunque che sopravvive al tempo e oggi mi parla di te, come una fotografia, come un videomessaggio di quando c’eri tu.

Adesso ho in mano la stessa rivista di qualche istante fa, ma la afferro in maniera diversa. Adesso contiene altro. Contiene te. E mi commuove pensare a quanto di noi sopravvive nelle cose. Sento il calore delle tue mani, vedo qualche schizzo della tua saliva, in controluce.

Penso a quale labirinto di circostanze conduca a noi le cose. Sopravvivono a traslochi, furti, dimenticanze, approssimazioni, camminano fiere in mezzo al tempo che passa e ci consegnano emozioni violente come questa.

Qualcosa che non significa nulla, che è vecchio, datato, ridicolo, qualcosa che è fuori posto e fuori tempo, può ancora avere la potenza di significare tutto. Riportare tra le braccia, aperte, un ricordo e un’immagine che il tempo non ha turbato. E lasciarmi senza fiato.

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