Esiste un momento esatto durante il quale dimentichiamo un amore? O il ricordo dell’amore è destinato a sopravvivere ad ogni oblìo?
Questa è la storia di un amore. Ma soprattutto è la storia di un uomo, di una donna e di un ricordo. Un ricordo che ha la strana proprietà di non passare, e restare eternamente avvinghiato al presente.
Lui è Miguel Sousa Tavarez, giornalista e scrittore, che ventidue anni dopo ci racconta il suo primo viaggio nel deserto. Perché proprio il primo? Perché soltanto in quell’occasione l’ha condiviso con Claudia, una ragazza bionda, spesso corrucciata ma dolcissima, con cui Miguel è partito in jeep da Lisbona con l’obiettivo di realizzare un reportage per la televisione portoghese.
Era il 1987, e nonostante la differenza d’età e di carattere – lui maturo, silenzioso, di successo, lei molto più genuina, semplice, instabile – durante la traversata nel deserto nacque un rapporto sospeso e fertile. Le tempeste di stelle e quelle di sabbia, i Touareg, la fame, il freddo della notte, le tende montate alla bell’e meglio, il calore di un corpo addormentato, le peripezie burocratiche di confine: tutto questo, e molto altro, strinsero il nodo di quella passione breve quanto profondamente intima.
Al ritorno in Europa ripresero la vita come se quel viaggio non fosse accaduto.Si mentirono. Ognuno aveva da fare e aveva da farlo altrove. Era diverso nel deserto. Nel deserto non c’era scelta.
Talvolta però non è possibile riporre i ricordi come si fa con gli oggetti che non ci occorrono più. E Claudia restava viva col passare dei giorni, dei mesi, degli anni. E non fu sufficiente tornare ancora nel deserto – Tavares ci tornò altre 11 volte – per vivere nuovamente le emozioni che quella piccola ragazzina imbronciata aveva saputo regalargli con naturalezza. Miguel visse per anni nel ricordo discreto, il solo che il passare del tempo concede.
Un giorno, una notizia terribile quanto inattesa, lo spinge a raccontare questa storia. Come se la scrittura fosse non solo un modo per omaggiare il mondo di quest’amore irrealizzato, ma anche una terapia per affrancarsene, per comprendere le reali direzioni di un sentimento che non sempre ricalcano i desideri.
“Con gli anni cominciai ad essere perseguitato dall’idea di dover costruire delle cose. Cose che durassero, che restassero anche dopo di me: figli, case, fotografie, libri, reportage, viaggi, storie che potessi raccontare e condividere con
gli altri. […] Mi consumava la malsana condizione di dover camminare sempre in avanti, mentre cercavo di conservare, come una cosa preziosa, la memoria di tutti i momenti felici che mi ero lasciato alle spalle – e tra i quali c’erano, come le foglie secche di una rosa lasciate tra le pagine di un libro ormai letto, i nostri quaranti giorni nel deserto. […] Oggi nessuno va più nel nostro deserto, Claudia. […] Non capiscono a che cosa serva e, quando mi chiedono che cosa ci sia laggiù ed io rispondo “nulla”, loro cancellano mentalmente quella meta dai loro progetti. Preferiscono viaggiare in massa dove tutti vanno e tutti si incontrano. Le cose sono molto cambiate, Claudia! Si ha paura del silenzio e della solitudine, […]è per questo che tutti vivono questa strana esistenza: perché, per quanto pensino di poter avere il mondo ai loro piedi, non sopportano neanche un giorno di solitudine“.
Un libro delicato, quasi soffiato sulla pagina. Leggerlo è percorrere chilometri in una meravigliosa duplice direzione. Avanti nello spazio geografico, a ritroso nei ricordi più belli.
Un’oasi, perché no.
Nel tuo deserto
di Miguel Sousa Tavares
Cavallo di ferro, 2011
Pag. 111
ISBN: 978-8879070881