L’attesa del futuro

Come lo vuoi il caffè?
Ho una faccia strana, e tu lo ripeti,
con voce più decisa, dopo qualche istante.
Normale, grazie.
Lo zucchero?
No, niente, amaro.
Rimango così,
sospeso in un pensiero,
tra le corsie
illuminate a giorno anche di giorno,
di luce affilata,
quel celeste, quel bianco, quelle sedie
allineate come all’ufficio postale.

Il caffè lo giro a lungo,
senza bisogno,
non voglio allontanarmi,
andare altrove ad aspettare.
Come se la prossimità,
in qualche modo,
sappia come tranquillizzarmi.
Sotto di me, da qualche parte,
si decide un futuro,
uno qualunque, ma quello che vivremo.

Penso a quel che resta, dopo di noi,
quando si compie, quando diciamo addio.
Penso ai luoghi dove finisce tutto,
sono così pochi,
sono quasi sempre letti,
spesso d’ospedale,
sale operatorie,
e penso all’attesa, inerme,
di tutti noi,
di chi non può far altro
che sperare nelle notizie vive.

Si impara qui l’attesa vera.
Tra il dolore, la gioia di tutti,
su visi che non hanno nome
solo lacrime, solo sorrisi.
E che diventano familiari
per contiguità emozionale.
Qui si fanno le prime congetture.
Si ipotizzano le prime mancanze,
senza dirle,
tutti zitti, ognuno per sé.
Scacciando via i brutti pensieri
come mosche, scuotendo la testa,
che tornano a posarsi
appena ti fermi.

Si impara qui l’attesa vera.
Bevo il caffè, un uomo è seduto,
precario, su una sedia verde.
Vorrebbe alzarsi, si vede dagli occhi,
ma da solo non riesce, aspetta qualcuno.
Qualche medico ride con qualche altro,
un corriere consegna un pacco all’accoglienza,
un motorino entra a tutta velocità al pronto soccorso.
Non piove, non c’è il sole.
L’ospedale è un formicaio di emozioni.
Sembrano poche una manciata di ore.
Non è eterno, certo, e invece è così.

Siamo noi, pochi, ma giusti.
L’attesa è fatta per chi ama davvero.
Per chi un’assenza la paga in momenti.
Non ho voglia di fare niente.
Solo dormire, svegliarmi dopo.
Ecco, vorrei il dopo.
Il dopo uguale a prima.
E invece è adesso.

Fuori ci sono i saldi,
vorrei fosse qui mia figlia.
Il suo sorriso mi ricorda la vita.
Usciamo a respirare.
Usciamo a respirare.
E in un silenzio necessario
Qualcuno afferra una camicia da notte.
Le servirà, aperta sul davanti, coi bottoni.
Le servirà, è più comoda,
ne ha solo due, e non sono così.
Le servirà.

E un gesto ordinario,
– prenderla, pagarla, metterla in una busta –
e un verbo al futuro,
diventano una promessa meravigliosa.

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